lunedì 23 settembre 2013

mélancolie.

Ogni tanto mi prendeva ancora il ricordo di lui, della sua felpa blu e della pioggia sul parabrezza e volevo avere la presunzione di sapere che per quegli occhi verdi valeva lo stesso. 
Lo sapevamo. Lo sapevo io e lo sapeva lui. La vita era un filo di lana invisibile che ci teneva uniti. Stavamo vivendo le nostre esistenze ma prima o poi, quando il gomitolo si sarebbe consumato e il filo sarebbe stato teso, saremmo nuovamente inciampati l'uno sull'altro.

Le nostre braccia erano tentacoli che si avviluppavano sui corpi per non perderne nemmeno un millimetro.

Le sue mani impazienti aprirono due cosce roventi e pulsanti e quando le caviglie si incrociarono dietro 

quelle spalle, spingendoselo addosso, un unico e deciso affondo gliela fece, finalmente, sentire sua.

Non sono mai stata brava a mantenere le promesse.

 "Adesso basta!" e poi richiamavo, "Manterrò la calma" e poi

urlavo, "Sentiamoci" e poi sparivo. No, non sono mai stata 

brava a mantenere le promesse ma non quella, la più

 importante, quella che ho fatto a me stessa. E qualcuno

 oggi mi dice che lasciando morire le cose, probabilmente mi 

sto perdendo qualcosa. Beh, oggi rispondo che, forse sì sto

 perdendo un po' di cose ma la più importante, quella no,

non sto perdendo me stessa.


sabato 27 ottobre 2012

...

E non capivo perché non mi abituavo mai al fatto di poterlo guardare. Non capivo perché ogni volta mi girava la testa. 
Lo detestavo.



domenica 14 ottobre 2012

...

Lastra marmorea ingrigita dal tono che cercavo di darmi; era l'immagine di me davanti all'epilogo. Mi fissava con fare interrogatorio e, se avesse potuto, m'avrebbe controllato sotto le unghia e tra le pieghe del collo per scovare dove fosse finita la me dalle mille carezze. Lapidaria emessi la sentenza sancendo la perdita dell'ultima parte buona di me.


giovedì 6 settembre 2012

Tributo a Carlos Ruiz Zafón


Gli domandai come faceva ad essere sicuro che non sarei sparita ancora. Mi guardò a lungo. «Scompare solo la gente che ha qualche posto dove andare.» Rispose secco.


Avevo letto quella frase centinaia di volte perché qualcosa dentro al mio cranio risultava familiare. Come faceva ad essere sicuro che non sarei scomparsa nuovamente? 
Il fatto è che, sicuro lui, non lo era affatto. Era la sua sper

anza a parlare per lui, gliela lessi nei denti che digrignavano mentre fingeva di crederci a ciò che aveva appena pronunciato. Lui lo sapeva. Lo sapeva già che l'avrei fatto nuovamente. Sapeva che da un momento all'altro sarei andata via un'altra volta. Potevo esserci seduta accanto ma, in realtà.. in realtà io ero già fuggita altrove.
Combattè per anni contro i vuoti che ero capace di procurargli e lo faceva affrontadoli ogni volta, a cadenza annuale. Come si paga il bollo dell'auto, lui pagava i miei silenzi. E ogni volta ci riprovava perchè diceva in sé per sé <<Voglio arrivare al punto in cui tutto questo non sorbirà su di me alcun effetto>>; lo sapeva sempre che non era ancora quello il momento ma ci riprovava. 
Forse era una delle cose che mi accorgevo di ammirare di più: l'ostinazione. Perchè io lasciavo perdere, perchè non ce l'avevo la voglia di dirglielo che, anche se ero seduta accanto a lui, la mia anima, la mia essenza, il mio calore o qualsiasi fottuta cosa in cui credete, era in dipartita. 

Perché io, se il posto in cui andare non ce l'avevo, me lo inventavo. Sempre.

sabato 4 agosto 2012

...

Per anni ho litigato con me stessa per il troppo amore, per le delusioni che credevo di provare o di aver provato, per gli obiettivi che non ero riuscita a raggiungere e per non aver avuto abbastanza coraggio per tenerti con me, per non averti avuto e per non essermi fatta raggiungere. Oggi ho capito che qualcosa di peggio dell'amare troppo esiste. 
E' non amare affatto.